Wild West da Las Vegas a Los Angeles

ITA

Lasciare Las Vegas è come voltare le spalle a un fuoco d’artificio ancora in esplosione. La città, con il suo caos scintillante, si dissolve rapidamente nello specchietto retrovisore mentre imbocco la I-15 in direzione sud-ovest. Davanti a me si stende un paesaggio vasto e implacabile, un deserto che sembra chiamare chiunque osi avventurarsi a esplorarlo. Questo viaggio verso Los Angeles non è solo una traversata di chilometri, ma una discesa da un miraggio verso un altro: la promessa della città degli angeli.

Il mattino presto è il momento perfetto per lasciare Las Vegas. Il sole, ancora basso, tinge di rosa e oro le colline rocciose circostanti, mentre la Strip si dissolve in una calma irreale dopo la frenesia notturna.

Poco fuori città, il deserto prende il sopravvento. È una terra dura e indomita, punteggiata di cespugli di creosoto e Joshua tree che sembrano protendersi verso il cielo. Primm, una minuscola città al confine tra Nevada e California, appare come un’ultima eco di Las Vegas. Il suo casinò isolato e una manciata di negozi outlet segnano il passaggio dal Nevada al Golden State.

Barstow è il prossimo punto di riferimento, un crocevia per viaggiatori che percorrono la storica Route 66 o si dirigono verso il sud della California. Qui, il paesaggio inizia a trasformarsi: le distese desertiche lasciano spazio a colline basse e brulle. Mi fermo a Calico Ghost Town, una città mineraria abbandonata che offre un assaggio della storia del Vecchio West. Prima che il deserto che si stende ancora per chilometri davanti a me, mi concedo un pranzo da Peggy Sues un uno storico Diner sulla strada.

Man mano che mi avvicino a Los Angeles, L’aria si fa più fresca, e il traffico aumenta, un promemoria che sto entrando in una delle metropoli più vivaci del mondo. Finalmente, L.A. si apre davanti a me. La città si estende in ogni direzione, un mosaico di quartieri, colline e autostrade. L’energia è palpabile: Hollywood, Beverly Hills, Santa Monica… ogni angolo racconta una storia diversa. Dopo ore di deserto e solitudine, trovo un’esplosione di movimento e suoni, un abbraccio caotico e accogliente.

ENG

Leaving Las Vegas feels like turning your back on a firework still mid-explosion. The city, with its glittering chaos, quickly fades in the rearview mirror as I merge onto I-15 heading southwest. Ahead lies a vast and relentless landscape, a desert that seems to call out to anyone bold enough to explore it. This journey to Los Angeles is not merely a crossing of miles but a descent from one mirage into another: the promise of the City of Angels.

Early morning is the perfect time to leave Las Vegas. The sun, still low, bathes the surrounding rocky hills in hues of pink and gold, while the Strip dissolves into an unreal calm after the night’s frenzy.

Just outside the city, the desert takes over. It’s a harsh, untamed land, dotted with creosote bushes and Joshua trees reaching skyward. Primm, a tiny town on the border between Nevada and California, appears like the last echo of Las Vegas. Its solitary casino and a handful of outlet stores mark the transition from Nevada to the Golden State.

Barstow is the next landmark, a crossroads for travelers on historic Route 66 or those heading toward Southern California. Here, the landscape begins to change: endless desert plains give way to low, barren hills. I stop at Calico Ghost Town, an abandoned mining town offering a glimpse into the history of the Old West. Before continuing through the desert still stretching ahead, I treat myself to lunch at Peggy Sue’s, a historic diner along the way.

As I near Los Angeles, the air grows cooler, and the traffic thickens—a reminder that I’m entering one of the world’s most vibrant metropolises. Finally, L.A. unfolds before me. The city sprawls in every direction, a mosaic of neighborhoods, hills, and highways. The energy is palpable: Hollywood, Beverly Hills, Santa Monica… every corner tells a different story. After hours of desert and solitude, I’m met with an explosion of movement and sound—a chaotic yet welcoming embrace.

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